“Per un giornalismo 
di Pace”, messaggio del Vescovo Savino ai giornalisti

“Per un giornalismo 
di Pace”, messaggio del Vescovo Savino ai giornalisti

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Cari amici e fratelli giornalisti,

saluto tutti e ognuno di voi con viva cordialità e vi ringrazio per aver accolto l’invito a questo incontro in occasione della festa liturgica del vostro patrono, san Francesco di Sales. Vuole essere un momento di comune riflessione e di comune assunzione di responsabilità per una missione, quella di informare, resa tanto più difficile e perciò tanto più necessaria dal tempo così impetuosamente nuovo che viviamo.

Come sapete, Papa Francesco quest’anno ha scelto per la 52° Giornata mondiale delle comunicazioni sociali il tema “La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Notizie false e giornalismo di pace”, per ribadire l’urgenza di sollecitare una riflessione ampia e articolata sull’inquietante fenomeno, di interesse collettivo, delle fake news, le informazioni fondate su fatti inesistenti, distorti e manipolati.

L’invito di Papa Francesco non è certamente rivolto a incentivare una informazione buonista, ma ad un impegno a spezzare una spirale,  che, soprattutto sui social media, si alimenta di emozioni negative come la paura, il disprezzo e la rabbia, innescate dalla spettacolarizzazione dei drammi del mondo globale, penso, innanzitutto alla tragedia dell’immigrazione.

Quando infatti papa Francesco parla di “cultura dell’incontro” e di spezzare la “spirale della paura” come non pensare, ad esempio, alla diffusione di tutti gli stereotipi negativi nei confronti dei migranti e dei rifugiati, dei forestieri e dei poveri? E allo stesso tempo, come non pensare alle semplificazioni estreme, ai giudizi affrettati?

LE INSIDIE E GLI INGANNI DEL WEB

Oggi si tende a credere che una società più informatizzata sia, per ciò stesso, una società più informata. Su Internet, lungo le nuove, prodigiose autostrade elettroniche, tra insidie e sicurezze, il futuro, anzi già il presente, sta giocando la sua partita più grande e non un “sapere”, ma un indistinto “rumore universale”, un sensazionalismo che banalizza tutto pur di essere rumoroso e visibile, rischia di omologare il nostro destino.

Il grande mutamento può svolgersi sotto il segno di una libertà creatrice di straordinarie opportunità, capaci di produrre un generale arricchimento di conoscenza. Ma possono farsi strada, anzi già invadono la nostra vita, forme di controllo e di concentrazione, violazioni dei valori convenuti, con perdite, anche gravi, di remore morali, attentati alla privatezza, denunce incontrollate, notizie strumentali, volte a creare condizioni di pericolo personale e sociale.

Ne nasce l’abitudine alle costruzioni infondate, alle sistemazioni approssimative, alle suggestioni fuorvianti, che invadono molti aspetti pubblici e privati dell’esistenza. Che cosa ci scambiamo che corrisponda davvero alle nostre esigenze interiori – in un mondo nel quale tutto sembra votarsi al criterio dell’utile, del pratico, del conveniente – con quel miliardo di parole che l’umanità pronuncia nell’arco di un minuto?

Ecco perché oggi al giornalismo e in genere alla comunicazione spetta il compito di fare chiarezza su tutto quanto, per suo merito e demerito, ci coinvolge, ci inquieta e, anziché unirci, potrebbe dividerci. Compito fondamentale del giornalista resta difendere ciò che è umano e denunciare tutto quello che è contro l’uomo e la sua dignità.

GIORNALISMO DI PACE

Ma oltre a chiedervi di impegnarvi  a fermare l’odiosa spirale delle fake news, papa Francesco invita voi operatori dell’informazione ad essere operatori di pace.  Don Tonino Bello, di cui ad aprile faremo memoria del 25° anniversario del transito al Cielo, diceva che la pace ha molti nomi, molti “consanguinei” nel dizionario delle parole. Il primo nome della pace è giustizia.

Ecco allora che il giornalista onesto, che racconta con rigore e professionalità la sua comunità, la sua regione, la sua terra è un operatore di giustizia. In questi tempi l’invadenza del web rischia di isolare anche i cronisti della stampa locale dal proprio territorio, dai destinatari primi del vostro servizio di informazione: le persone, gli uomini e le donne del nostro tempo.

Soprattutto quelle meno abilitate a solcare il palcoscenico mediatico, le categorie più marginali, gli “scartati”. Che non solo non hanno voce per gridare amare verità ai sordi detentori del potere, ma non hanno spesso neppure la capacità di orientarsi, di leggere con senso critico la realtà e rischiano nuove forme di emarginazione nel villaggio globale della liquidità.

E’ per essere servitori della vostra terra, della vostra gente che voi avete il compito di decifrare la realtà. Questo richiede un supplemento d’amore prima che di formazione e di professionalità. Vi è richiesto un di più di responsabilità personale, l’umile e paziente fedeltà al servizio, una lotta quotidiana contro ogni forma di menzogna e di manipolazione a cui il lavoro quotidiano del giornalista è sempre esposto.

E’ la capacità di educarci e di educare a distinguere, a chiamare per nome le cose, a superare narrazioni stereotipate che impediscono di avvicinarsi alla realtà, d’incontrare e fare incontrare gli altri: la capacità di praticare un’informazione che non alzi muri ma costruisca ponti.

E’ questo il vostro modo di vivere quello che con bella espressione viene definito il giornalismo di prossimità. Ogni giorno, davanti ad ogni umana avventura che vi appestate a descrivere, sarebbe bello che ognuno di voi si ponesse lo stesso interrogativo: Chi è il mio prossimo? Chi è il vostro, il nostro prossimo in un mondo globalizzato. Globalizziamo l’apertura, la solidarietà, l’accoglienza non globalizziamo l’indifferenza come ammonì papa Francesco a Lampedusa.

Ecco perché serve un’informazione fatta da giornalisti competenti e buoni, radicati sul territorio,  capaci di rivolgersi alla propria gente, con notizie che aiutino a riconoscersi come comunità nella vita quotidiana, nella realtà che la gente vive, ascoltando la mente e il cuore, ma cercando di non assecondare la pancia, con una comunicazione che chiama alla relazione e costruisce il bene comune.

Il vero giornalismo resta dunque un servizio all’uomo e quella del giornalista – se è lecito parafrasare l’apostolo Paolo: 1, Corinti 9,20-22 – è la vocazione che lo porta a farsi “tutto a tutti” .

Il giornalista riveste un ruolo di grande importanza e al tempo stesso di grande responsabilità. In qualche modo – come ha detto papa Francesco – voi scrivete la “prima bozza della storia”, costruendo l’agenda delle notizie e introducendo le persone all’interpretazione degli eventi.

Ecco perché la vostra vocazione e la vostra responsabilità devono misurarsi ogni giorno con l’esercizio di quattro  virtù chiamate a scongiurare quattro rischi che sempre incombono su chi fa informazione.

La prima virtù sta nella capacità, almeno sul piano del metodo, di superare ogni catalogazione discriminante e di ogni riduzione dell’uomo alle categorie dell’utile, dell’erotico, del deviante, del mostro, del malvivente.

La seconda è la negazione della categoria del nemico: impegnato a cercare l’uomo, il giornalista non dovrebbe mai giudicare per schieramento politico o ideologico o culturale.

La terza è la sospensione del giudizio e l’atteggiamento di attesa, che implica rispetto radicale per il mistero personale, fiducia, comune speranza nel comune destino.

La quarta è la scelta di campo a favore del più debole, penso alla spettacolarizzazione del dolore, alla rappresentazione stereotipata dei migranti, al disprezzo della vita, al non rispetto per i più deboli come i bambini.

Il giornalista resta sempre aperto alla novità storica, alla modificabilità dell’umano, alla possibile conversione di ognuno, ai cieli nuovi e alla terra nuova. In questo senso mi permetto di  sottolineare che, ad una professione che ha e deve continuare ad avere nella laicità e dell’autonomia due valori cardine, la vocazione cristiana possa fornire, come in ogni altra professione legata alla comunicazione un arricchimento decisivo, nel senso della sollecitazione a cogliere la pienezza dell’umano o quel tanto di umano che si trova in ogni persona.

La vocazione cristiana implica, per il giornalista, la chiamata – come ho già detto – a “farsi prossimo” rispetto a ogni uomo o donna di cui debba occuparsi nell’esercizio della professione. In particolare implica un preciso richiamo a rispettare il mistero dell’uomo, che i media commerciali tendono a violare e a negare.

Il ”farsi prossimo” del giornalista è potenzialmente aperto a tutta l’umanità. Ciò si può dire di ogni cristiano che incontri sulla propria strada un qualsiasi estraneo in situazione di bisogno. Ma vale due volte per il giornalista, perché è proprio della sua professione che venga chiamato a occuparsi di ogni vicenda che gli sia assegnata, senza che vi sia stato alcun incontro personale.

Nella modalità di farsi prossimo del giornalista c’è un aspetto potenzialmente più esigente, rispetto a quella che potrebbe proporsi nel normale incontro con il bisognoso. Posso prendermi cura del bisognoso a me estraneo rispondendo alla sua necessità materiale, come avviene appunto nella parabola evangelica da parte del samaritano.

Ma nel caso del giornalista non è chiesto e non basta il soccorso materiale: egli dovrebbe trovare il modo di farsi prossimo dell’uomo e della donna di cui racconta la storia avvicinandoglisi sul piano conoscitivo, della comprensione umana e della comunicazione. Deve tendere a mettersi – almeno per un’ora, o un giorno – anche dal punto di vista del terrorista che intervista, dell’omicida di cui racconta l’esecuzione.

Concludo con le parole che l’allora arcivescovo di Milano, monsignor Giovanni Battista Montini, rivolse ai giornalisti il 31 gennaio 1955, dopo pochi giorni dal suo ingresso in città, durante la Messa in occasione della festa di San Francesco di Sales celebrata a mezzanotte nella tipografia del quotidiano “L’Italia”.

“Cerchiamo – disse il futuro Paolo VI – di dare alla professione, non già una semplice caratteristica direi tecnica, puramente improntata alla fretta, alla genialità, alla curiosità, alla attualità, ma siamo dei finalisti, cioè della gente che pensa dove arrivano le parole, che effetto hanno, che cosa producono. E allora il messaggio di San Francesco di Sales non sarà inutile a noi. Egli insegna che bisogna avere soprattutto la carità della verità. Bisogna amare quelli a cui si rivolge la parola; amare nel dono, nell’offerta di qualcosa di vero; vero perché  si è sentito e perché si è studiato”.

Auguri allora, cari amici giornalisti, di carità e verità.

Grazie.
Cassano all’Jonio, 24 Gennaio 2018

memoria di San Francesco di Sales
Vostro

   don Francesco Savino

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