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Blacaman, il fachiro di Castrovillari, raccontato in un libro di Filomia e Ferrante

Blacaman, il fachiro di Castrovillari, raccontato in un libro di Filomia e Ferrante

Da qualche giorno in libreria il volume “Blacaman, la leggenda del fachiro tra due oceani”, realizzato a quattro mani da Angelo Filomia e da Ines Ferrante.

Blackman è un personaggio nel vero senso della parola: estroso, inventivo, esuberante, imprevedibile e soprattutto uomo che ha affermato la sua personalità in tutto il mondo. L’arte circense, funambolica e trasformistica, magica e mirabolante, ha trovato nel calabrese (di Castrovillari) Pietro Aversa, un interprete proteiforme e versatile.

Il libro documenta le sue qualità, la sua straordinaria capacità di adattamento e di mimetismo, propria dei grandi artisti.

Il sottotitolo rimanda al film di Tornatore, La leggenda del pianista sull’oceano (ispirato dal romanzo di Baricco, “Novecento”) perchè Blacaman, così come Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, il personaggio creato da Baricco, sapeva leggere, ma non i libri. Quelli sono buoni tutti. Sapeva leggere la gente, i segni che la gente si porta addosso, posti, rumori, odori, e soprattutto, sapeva leggere i sogni, le passioni, le speranze. Ed al suo pubblico in cambio del suo carisma, rubava l’anima.

L’interesse che Blacaman è riuscito a suscitare nel mondo, oltre che al personale e misterioso potere che ha fatto di lui un enigma vivente, è dovuto alla “lussuosa”, originale e suggestiva messa in scena di carattere orientale.
Come un quadro indimenticabile di seduzione che riesce a trasportarci nel paese de “Le Mille e una notte”, nella Bagdad millenaria, a Benares la santa, a Bombay la misteriosa, nel Nepal sperduto o nell’antipiano del Tibet, la sede del Lama, la patria dei negromanti e degli scopritori della pietra filosofale.

Fra l’odore dell’etere e dell’incenso, dell’issopo, del cinnamono, masticando il betel, vestito dei serci paludamenti indiani, con turbante e scimitarra, mentre d’intorno strisciano i serpenti affascinanti, Blacaman, con la sua folta e ricciuta capigliatura, con i suoi vividi occhi neri rilucenti, ha offerto lo spettacolo prodigioso di “un essere da sogno” capace di realizzare le più stravaganti e incredibili gesta.

Ammirato dal mondo con attonita sorpresa, Blacaman, fisicamente portava tutti i segni della razza indiana: statura media, robusta e nervosa, colorito olivastro, naso schiacciato, voce cavernosa, capelli neri, lunghi, crespi, aureolati. Ma ciò che soprattutto impressionava era l’occhio. Un occhio vivo, penetrante, con rapidi bagliori d’intelligenza, di astuzia, di fierezza, di decisione. Un giovanissimo fachiro che turbava le folle col suo strano potere, un tipo davvero interessante che a Parigi, a Lione, a Marsiglia, a Madrid, a Lisbona conquistava le folle negli anni 20 e negli anni 30.

A sentir lui, o meglio a intervistarlo, pareva che fosse nato in un villaggio presso Calcutta che si chiamava Frasnitt. Sempre a suo dire, la madre era morta nel darlo alla luce, mentre un gran fachiro vegliardo invocava su di lui l’eletto spirito di Shiva e Kalì.

In realtà il suo “villaggio” portava  un  altro nome: Blacaman era infatti Pietro Aversa, nato a Castrovillari il 23 Febbraio 1902.

Gli autori Angelo Filomia, direttore del Diario di Castrovillari e la professoressa Ines Ferrante, studiosa d’arte e di tradizioni locali, nicchiano sornioni rispetto all’indiscrezione secondo la quale, a breve, il saggio potrebbe essere l’ispirazione ad un film a cura di un noto regista italiano. In fondo Blacaman era già stato interprete in un film ad Hollywood, negli anni 40, “You can cheat an honest man” in cui il fachiro interpretava se stesso.
Per ricevere il libro scrivere a diariocv@libero.it oppure tel. 328.1046251

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@TCastrovillari

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